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L’EVOLUZIONE DEI CONTRATTI DI LOCAZIONE AD USO DIVERSO DA QUELLO ABITATIVO, NONCHE’ DEI CONTRATTI DI AFFITTO DI AZIENDA, ALL’EPOCA DEL COVID-19

Una fra le molte problematiche che si presentano all’epoca della pandemia ex corona virus è quella afferente la gestione dei rapporti tra locatore e conduttore in merito agli obblighi inerenti i pagamenti dei canoni concordati prima della sopravvenienza epidemica che ci occupa.

In particolare sono molte le richieste che vengono rivolte allo studio scrivente in merito al diritto del conduttore/affittuario di azienda di chiedere ed ottenere sospensioni e/o riduzioni del canone di locazione/affitto, ed in merito al contrapposto diritto del locatore/affittante l’azienda, di mantenere vigenti le condizioni contrattuali stipulate prima della detta pandemia.

Le problematiche suddette devono trovare analisi nei termini dello studio del contratto di durata: pattuizione bilaterale che proietta i suoi effetti nel tempo, e del concetto di giuridico di sopravvenienza, quale può legittimamente intendersi la pandemia che ci occupa.

Ebbene al fine di non esporre tesi dottrinali o elaborazioni giurisprudenziali che non consentirebbero un’agevole fruizione di questo articolo ad opera degli interessati, profani in ambito giuridico, ci proponiamo lo svolgimento della sintetica esposizione che segue, chiedendo comunque venia per le implicazioni tecniche che la trattazione del tema impone.

La sopravvenienza deve essere inquadrata nell’ambito di una circostanza che esula dalla possibile prevedibilità delle parti contraenti, che non rientra dunque nell’alea commerciale e che non è conseguenza di inerzia, negligenza e/o inadempimento ad opera di una delle due parti del contratto stesso. In altre parole lo stato di calamità creato da terremoti, inondazioni e/o pandemie, attiene eventi imprevisti e imprevedibili che legittimano l’introduzione del tema giuridico della sopravvenienza.

A titolo esemplificativo, oltre agli stati di calamità sopra accennati,è possibile parlare di sopravvenienza quando ci troviamo di fronte al c.d. factum principis e cioè di fronte ad un provvedimento della pubblica autorità – magari emesso anche in conseguenza diretta degli stati di calamità di cui sopra – che incide direttamente sul rapporto contrattuale/sulla sua causa. In termini concreti la decretazione di chiusura di alcuni esercizi commerciali sancitadalle normative di cui ai D.L. 18/2020 e DPCM del 22.03.2020, spiega in pratica il concetto del factum principiscome sopravvenienza estranea alla prevedibilità delle parti contraenti.

 

Entrando nel merito degli effetti giuridici di questi provvedimenti normativi si può spiegare la legittimità o meno di certi atteggiamenti che locatori/affittuari da una parte e conduttori dall’altra possono tenere.

PREMESSO

Che i D.L. 18/2020 e DPCM del 22.03.2020 non trattano l’argomento oggetto della presente trattazione in maniera diretta, fatta eccezione delle due norme che spiegano:

  • All’Articolo 65

(Credito d’imposta per botteghe e negozi)

  1. Al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, ai soggetti esercenti attività d’impresa è riconosciuto, per l’anno 2020, un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1.
  2. Il credito d’imposta non si applica alle attività di cui agli allegati 1 e 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020 ed è utilizzabile, esclusivamente, in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.
  3. Agli oneri derivanti dal presente articolo si provvede ai sensi dell’articolo 126.

 

Gli immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe) comprendono i ristoranti, le trattorie, i bar ed i locali occupati da barbieri, modiste, orologiai, ecc.; sono esclusi alberghi, pensioni e villaggi turistici, che rientrano nella categoria D/2

 

  • All’ Articolo 95

(Sospensione versamenti canoni per il settore sportivo)

  1. Per le federazioni sportive nazionali, gli enti di promozione sportiva, le società e associazioni sportive, professionistiche e dilettantistiche, che hanno il domicilio fiscale, la sede legale o la sede operativa nel territorio dello Stato, sono sospesi, dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 maggio 2020, i termini per il pagamento dei canoni di locazione e concessori relativi all’affidamento di impianti sportivi pubblici dello Stato e degli enti territoriali.
  2. I versamenti dei predetti canoni sono effettuati, senza applicazione di sanzioni ed interessi, in un’unica soluzione entro il 30 giugno 2020 o mediante rateizzazione fino a un massimo di 5 rate mensili di pari importo a decorrere dal mese di giugno 2020.

In relazione alla premessa di cui sopra sarà dunque possibile procedere alla trattazione dell’argomento indicato nel titolo del presente articolo mediante il riferimento alla normativa codicistica (ex codice civile).

I rimedi che possono essere proposti, laddove si sia verificata la sopravvenienza sopra spiegata – nell’ambito dei rapporti di locazione e di affitto di azienda – possono avere effetti c.d. caducatori o manutentivi. La caducazione determina la richiesta di risoluzione del contratto di locazione sia ad opera del proprietario che del conduttore, dunque della cessazione (caducazione) dell’intero rapporto contrattuale (le parti non avranno più i diritti e gli obblighi scaturenti dal contratto di locazione/affitto); il rimedio manutentivo invece determina la sopravvivenza del contratto con la modificazione di alcune delle condizioni contrattuali ivi previste.

In termini generali, laddove la sopravvenienza determini una impossibilità della causa stessa del contratto ex art. 1256 c.c. oppure un’eccessiva onerosità di questo ex art. 1467 c.c, la parte debitrice (conduttore) – esente da ogni responsabilità connessa alla suddetta impossibilità e/o eccessiva onerosità – può chiedere la risoluzione del contratto. In tali casi la parte debitrice non potrà essere individuata come responsabile dell’inadempimento ex art. 1218 c.c.; continuerà comunque a gravare su di essa il relativo onere probatorio, ciò significa che sarà a carico del conduttore la prova della detta impossibilità o eccessiva onerosità estranee al suo comportamento[1].

Per ciò che concerne il rimedio manutentivo, volto a permettere l’adeguamento del canone alla sopravvenienza epidemica sarà possibile trattare il caso attraverso gli istituti della buona fede ex artt. 1175 e 1176 c.c. che, applicati al caso di specie, spiegano la possibilità di un obbligo alla rinegoziazione sulla base delle modificate condizioni economico-sociali (ex sopravvenienza).

In altre parole il locatore non potrà disinteressarsi – se non violando il principio codicistico della buona fede – delle modificate condizioni che determinano un valore diverso del proprio bene, il quale se fosse messo in commercio al tempo attuale non permetterebbe la percezione delle somme stabilite in assenza delle gravi sopravvenienze di cui si parla.

La traduzione ad equità del canone di locazione dovrà allora passare attraverso l’auspicabile accordo conciliativo[2] volto a modificare il contratto per mutuo consenso, in assenza del quale dovranno essere attivati gli istituti di cui agli artt. 1664 c.c. che per interpretazione ex estensione analogica potranno sussumere il caso di specie e/o comunque l’applicazione delle norme di cui agli artt. 1623 c.c.

Il fine delle applicazioni ut supra è quello di permettere:

  • da una parte, alle imprese che esercitano la propria attività in locali condotti in regime di locazione ad uso diverso da quello abitativo/affitto di azienda, di resistere agli effetti economici della panedemia che rendono impossibile la percezione di qualsivoglia ricavo, in conseguenza della decretata chiusura ex D.L. 18/2020;
  • dall’altra, ai proprietari degli immobili di non subire decisioni arbitrarie adoperate dai conduttori che potrebbero – in assenza di buona fede – far ricadere a cascata gli effetti economici della pandemia esclusivamente su di loro.

In ultimo

Il Decreto Legge del 23/02/2020 – N. 6 all’art. 3 comma 6-bis, inserito dall’articolo 91, comma 1, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, così recita:

6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.

Questa appare essere una norma di notevole interesse per i rapporti contrattuali: essa prevede che il rispetto delle misure di contenimento da Covid-19 sia sempre valutato ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore per inadempimento o adempimento tardivo della prestazione dovuta. La medesima norma prevede inoltre che il rispetto delle misure di contenimento possa escludere anche l’applicazione di eventuali decadenze o penali che siano contrattualmente previste sempre in caso di ritardato o omesso adempimento.

In conclusione

Laddove la sopravvenienza pandemica abbia determinato il venir meno della causa del contratto: dunque il motivo stesso per il quale si erano stipulati gli accordi di cui si tratta, le parti potranno ricorrere ai rimedi c.d. caducatori volti alla declaratoria di cessazione degli effetti civili del contratto stesso. In particolare i debitori (conduttori) potranno richiedere soltanto la risoluzione del contratto, a fronte della quale i proprietari potranno eventualmente – a loro discrezione – offrire di modificare equamente le condizioni del contratto stesso[3].

Le stesse parti potranno altresì muoversi sul piano degli effetti manutentivi, volti cioè a far sopravvivere il contratto a condizioni diverse, mediante ovviamente gli auspicati accordi bonari, oppure – nel caso di denegata impossibilità di accordo per la permanenza di divergenze –  tramite le applicazioni delle norme di cui agli articoli menzionati nel corpo del testo che trattano la buona fede contrattuale in generale oppure mediante le norme che spiegano una diminuzione del costo per effetto di circostanze imprevedibili[4], oppure – ancor più specificamente – mediante l’applicazione di norme che legittimano la richiesta di una diminuzione del costo in conseguenza di una disposizione di legge o di un provvedimento dell’autorità[5].

In termini pratici e conclusivi si suggerisce di aprire il dialogo con la parte adversa mediante comunicazioni telefoniche e/o scritte, volte a trattare la questione afferente l’adeguamento contrattuale di cui si è trattato.

Lo sviluppo di questa trattazione potrà condurre verso gli auspicati e consigliati accordi stragiudiziali, che dovranno stipulare la volontà comune di entrambe le parti, così siglando opportune modificazioni contrattuali che contemperano efficacemente i contrapposti interessi; detti accordi dovranno comunque trovare attestazione scritta, la quale dovrà essere inviata all’agenzia delle entrate al fine di permettere un adeguamento fiscale alle mutate condizioni contrattuali.

Nella denegata ipotesi in cui le parti non riescano a trovare un accordo, la questione potrà trovare approdo dinnanzi alle autorità competenti mediante l’instaurazione di contenziosi giudiziari. A tale proposito il Giudice adito dovrà valutare – caso per caso – la legittimità delle pretese spiegate dalle parti nei loro atti e così decidere in base all’applicazione delle norme menzionate nel corpo dell’atto.

            Avv. Stefano Brizi

 

Per STUDIO LEGALE

Avv. Silvia Vannucchi

Avv. Patrizio Billi

Dr. Pierfrancesco Giunta

[1]Il debitore infatti deve dare piena prova dell’esistenza di fattori non riconducibili alla propria  sfera di azione e di diligenza, e quindi di non essere in colpa; essendo inoltre necessaria la prova della corretta diligenza per aver tentato di ovviare a tali fattori (Cass. 13/25777).

Atteso che il presupposto dell’inadempimento ex art. 1218 c.c. è l’imputabilità dell’inadempimento della prestazione in capo al debitore, ai sensi dell’art. 1256 c.c., la non imputabilità per impossibilità sopravvenuta della prestazione estingue l’obbligazione e libera il debitore (Cass.9287/99; 567/01).

La giurisprudenza è costante nel ritenere che l’impossibilità sopravvenuta che libera dall’obbligazione (se definitiva) o che esonera da responsabilità per il ritardo (se temporanea), deve essere obiettiva, assoluta e riferibile al contratto e alla prestazione ivi contemplata, e deve consistere non in una mera difficoltà, ma in un impedimento, del pari obiettivo e assoluto, tale da non poter essere rimosso, a nulla rilevando comportamenti di soggetti terzi rispetto al rapporto (cfr. e pluribus, Cass. nn. 15073/09, 9645/04, 8294/90, 5653/90 e 252/53).

[2] L’accordo conciliativo dovrà avvenire per iscritto, sicchè siano adempiute le esigenze fiscali conseguenti la registrazione delle modificazioni accordate presso gli uffici dell’agenzia delle entrate competente.

Si precisa che la normativa propone come obbligatoria la mediazione di cui al d.lgs. 28/2010 e successive modificazioni.

[3]Nel caso di contratto di locazione è però necessario sancire che sarà complesso parlare della impossibilità della prestazione del debitore al pagamento del canone di locazione, alla stregua del principio secondo cui genusnunquamperit, secondo il quale l’impossibilità può attenere soltanto una prestazione che abbia ad oggetto un fatto o una cosa determinata o di genere limitato, e non già una somma di denaro (Cass. civ. 12/6594).

[4] Nella specie applicando la disciplina delle fattispecie normotipiche dei contratti relazionali (vendita e appalto).

[5] Nella specie si fa riferimento alla disciplina dell’affitto.

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